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Deutronomio
Il titolo del quinto libro della Bibbia è preso dalla designazione greca della Versione dei Settanta “Deuteronòmion”. È un termine composto, il quale mette insieme dèuteros, che significa “secondo”, è nòmos, che significa “legge”. Quindi il nome di questo libro significa letteralmente “seconda legge” e denota una ripetizione di leggi date in precedenza. A causa di questa ripetizione di certe leggi, insieme alla rassegna o ripetizione della storia del soggiorno di quarant’anni nel deserto, i rabbini lo chiamano Mishnèh Hattoràh, che tradotto significa “ripetizione, duplicato, o doppione della legge”. Spesso lo chiamano semplicemente Mishnèh (ripetizione; duplicato; doppione). Risulta che questo nome significativo fu adottato sia dai rabbini che dai traduttori della Versione dei Settanta dal versetto 18 del capitolo 17, dove si comanda al re di avere una copia o duplicato della legge: “E quando s’insedierà sul suo trono reale, scriverà per suo uso in un libro, una COPIA DI QUESTA LEGGE [ebraico, mishnèh hattoràh; Versione greca dei Settanta, deuteronò-mion] secondo l’esemplare dei sacerdoti levitici”. Con esso non s’intende il “Talmud”.
Lo scrittore del libro è sicuramente Mosè, per le stesse ragioni già presentate affin di stabilire che egli fu lo scrittore dei precedenti quattro libri, dato che questi primi cinque libri della Bibbia furono originariamente un solo volume o rotolo conosciuto come la legge. Deuteronomio stesso identifica Mosè come suo scrittore, in 31:9, 22, 24-26. L’ultimo capitolo, però, fu probabilmente aggiunto o da Giosuè o dal sommo sacerdote Eleazaro, alla cui custodia il Pentateuco fu affidato da Mosè.
Il racconto degli avvenimenti comincia dal primo giorno dell’undicesimo mese del quarantesimo anno dopo l’esodo. (1:3) Il libro di Giosuè pare che riprenda la narrazione circa dal settimo giorno del primo mese del quarantunesimo anno. (Gios. 1:11; 3:2, 3; 4:19) Questo lascia un periodo di tempo di due mesi e una settimana fra l’inizio degli avvenimenti narrati in Deuteronomio e quelli riportati in Giosuè. Ad ogni modo, trenta giorni di questo periodo di nove settimane furono trascorsi piangendo la morte di Mosè (34:8), il che vuol dire che quasi tutti gli avvenimenti di Deuteronomio ebbero luogo nell’undicesimo mese del quarantesimo anno, e che per la fine di quel mese il libro era stato praticamente completato, essendo la morte di Mosè avvenuta al principio del dodicesimo mese del quarantesimo anno, l’anno 1474 a. C. (Generalmente si crede che gli avvenimenti del capitolo due di Giosuè abbiano avuto luogo durante il periodo di lutto di trenta giorni).
La località era le pianure di Moab, e ivi Mosè dichiarò a Israele il patto di fedeltà. (29:1, 9-13) Il libro consiste principalmente di tre discorsi pronunciati da Mosè. Il primo va da Deuteronomio 1:6 a 4:40. Quasi i tre quarti di questo discorso sono una ripetizione di ciò che avvenne agl’Israeliti nel loro viaggio di quarant’anni verso Canaan. Ma non è una scialba e didattica lezione di storia; in essa si presentano di continuo osservazioni relative all’importanza dell’ubbidienza, e al modo in cui le calamità avrebbero potuto essere evitate. Quindi, all’inizio del quarto capitolo, egli raggiunge il commovente punto culminante con una fervente esortazione all’ubbidienza, dichiarando: “Ora, dunque, Israele, da’ ascolto alle leggi e alle prescrizioni che io v’insegno perché le mettiate in pratica, affinché viviate ed entriate in possesso del paese che l’Eterno, l’Iddio de’ vostri padri, vi dà”.
Citando illustrazioni concrete delle tristi conseguenze della ribellione contro Dio e la Sua legge, Mosè aveva fatto una vigorosa introduzione al punto culminante. Egli esortava questa nuova generazione ad evitare i passati errori della vecchia generazione morta nel deserto, a studiare la legge di Dio, ad insegnarla ai loro figli, a cercare il Signore e osservare i suoi comandamenti comprendendo che Geova solo è l’Iddio del cielo e della terra, e, soprattutto, a tenersi lontani dal laccio dell’idolatria. Veramente fu un potente discorso!
Il secondo discorso si estende da 5:1 a 26:19, e contiene una ricapitolazione, con qualche modifica e chiarimento, della legge data al Sinai. Come il primo discorso non era stato un semplice racconto storico, così il secondo non fu soltanto una ricapitolazione di leggi e ordinamenti. Con fervore Mosè mise il suo cuore nella ripetizione della legge esprimendo la vitale necessità dell’ubbidienza. Egli ripetè i Dieci Comandamenti, spiegò in particolare ogni ordinamento che ad essi si riferiva, e ne aggiunse altri che non erano stati dati prima. Mise in risalto che gli Israeliti do-vevano amare lo straniero che era dentro le loro porte, e quindi dovevano trattenersi dall’opprimere la classe degli stranieri. Confermò tutta la legge in modo solenne e commovente, dichiarando le preziose promesse per quelli che l’avrebbero osservata e i sicuri giudizi contro quelli che l’avrebbero trasgredita di proposito. Alla conclusione mise chiaramente dinanzi al popolo le loro responsabilità e i loro obblighi del patto: “Tu hai fatto dichiarare oggi all’Eterno [Geova] ch’egli sarà il tuo Dio, perché tu cammini nelle sue vie e osservi le sue leggi, i suoi comandamenti, le sue prescrizioni, e tu ubbidisca alla sua voce. E l’Eterno [Geova] t’ha fatto oggi dichiarare che gli sarai un popolo specialmente suo, … ond’egli ti renda eccelso per gloria, rinomanza e splendore, su tutte le nazioni che ha fatte, e tu sia un popolo consacrato all’Eterno [Geova], al tuo Dio, com’egli t’ha detto”. (26:17-19).
Nel terzo discorso gli anziani d’Israele sono assieme a Mosè. (27:1-30:20) Il suo contenuto fondamentale consiste di maledizioni per la disubbidienza e benedizioni per l’ubbidienza. Perciò Mosè porta ora gli Israeliti qui presenti in uno speciale patto di fedeltà, oltre al patto stipulato quarant’anni prima al Monte Horeb. (29: 1) I sei versetti della conclusione sono incomparabili per la loro schietta semplicità, bellezza e vigore. Gli ultimi due dicono: “Io prendo oggi a testimoni contro a voi il cielo e la terra, che io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la male-dizione; scegli dunque la vita, onde tu viva, tu e la tua progenie, amando l’Eterno, il tuo Dio, ubbidendo alla sua voce e tenendoti stretto a lui (poich’egli è la tua vita e colui che prolunga i tuoi giorni), affinché tu possa abitare sul suolo che l’Eterno giurò di dare ai tuoi padri Abrahamo, Isacco e Giacobbe”. (30:19,20).
Subito dopo il libro termina. Mosè consegna la legge ai Leviti per la regolare lettura pubblica, mediante lui Iddio conferisce un incarico a Giosuè, e Mosè presenta poi il suo ispirato canto profetico a Israele. (31:30; 32:1-43) Dopo avere benedetto le dodici tribù, Mosè sale sul Monte Nebo, vede la Terra Promessa, e muore.
Quest’ultimo mese della vita di Mosè trascorso con gli Israeliti nelle pianure di Moab rassomiglia in un certo modo alle moderne assemblee teocratiche. Fu un tempo di sosta, di ristoro e di preparazione prima di una grande impresa. Era molto appropriato fare meditazioni e studio ed esortazioni. Gli Israeliti stavano per entrare nella Terra Promessa. Molti di quelli che erano qui presenti non avevano visto i diversi avvenimenti del soggiorno nel deserto, perché la vecchia generazione, eccetto alcuni, era stata distrutta per le sue molte ribellioni, in particolare per il suo rifiuto di entrare nella Terra Promessa circa trentanove anni prima. I discorsi di Mosè misero vigorosamente in rilievo le disastrose conseguenze della ribellione contro il Signore, definirono con chiarezza le leggi e gli ordinamenti di Dio, esponendo in modo chiaro le maledizioni che avrebbero certamente e subitamente fatto sèguito alla disubbidienza. Tutto questo commosse i loro cuori con un profondo senso dei loro obblighi come popolo del patto e del nome di Dio. Come mostra Mosè col suo particolare modo di presentare i fatti, essi dovevano preparare questa nuova generazione di Israeliti per possedere ed ereditare la Terra Promessa.
Deuteronomio è spesso citato in altri libri della Bibbia, e particolarmente nelle Scritture Greche. È notevole a questo riguardo la profezia che addita Cristo Gesù, il quale fu tipificato da Mosè. Essa è riportata in Deuteronomio 18:15-19, e l’apostolo Pietro sotto ispirazione prese queste antiche parole mostrando il loro intero significato e applicazione. L’adempimento delle molte altre profezie e dei tipi e ombre di questo libro attestano abbondantemente la sua autenticità.